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1. Premessa

La recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di tutela del diritto alla vita1 si inserisce a pieno titolo nel percorso intrapreso dalla Piccola e Grande Europa, volto al rafforzamento del ruolo della vittima nel procedimento penale. I giudici di Strasburgo partendo da alcuni diritti fondamentali espressamente sanciti nella Convenzione hanno ampliato il novero degli obblighi da essi discendenti, coinvolgendo il piano procedimentale e richiedendo lo svolgimento di indagini complete, celeri ed effettive, in grado di condurre all’accertamento del fatto e alla individuazione e adeguata punizione dell’autore2.
Alla luce di ciò viene da chiedersi se questo orientamento possa davvero definirsi innovativo se proiettato nell’ambito del sistema italiano di giustizia penale, stante la vigenza di un principio apparentemente corrispondente, quello di completezza delle indagini preliminari, elaborato dalla Corte costituzionale nella storica sentenza n. 88 del 19913.
Dal confronto tra le impostazioni adottate dai due ordinamenti quello interno e quello convenzionale, emergono tratti di divergenza,
frutto della diversità dei contesti da cui provengono. Pertanto, si rivela necessario interrogarsi in ordine alla concreta possibilità di dare attuazione agli obblighi imposti dalla Corte di Strasburgo, anche in considerazione degli strumenti attualmente utilizzabili dalla vittima nel corso delle indagini. …..
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